mercoledì 6 maggio 2009

Intervista a Bernardo Lanzetti, di Athos Enrile



Come ho già avuto modo di raccontare da questo spazio, pochi giorni fa ho partecipato ad bel concerto ad Alba, il cui resoconto è fruibile all’indirizzo:


Nell’occasione ho conosciuto Bernardo Lanzetti.
Per chi volesse approfondire la biografia di questa incredibile” voce”, rimando al link:


Fantastica la sua disponibilità, e alla mia solita domanda relativa ad una possibile intervista, risponde subito positivamente.
Immaginando il suo “mondo” di impegni mi limito ad una decina di quesiti e… dopo 6 ore ricevo la mail di ritorno. Davvero una sorpresa.
Personalmente mi sento in colpa per essere rimasto fermo al Lanzetti della PFM. La sua voce credo sia tra le migliori in assoluto e la sua voglia di sperimentare e percorrere nuove strade dovrebbe essere un insegnamento per tanti.
Recupererò il tempo perduto, occupandomi anche delle varie diramazioni, vedi Mangala Vallis presenti nel filmato a seguire.


L'INTERVISTA

Giovedì ad Alba ho provato una grande emozione. Ho visto tante collaborazioni da mero palcoscenico, ma ciò che mi è arrivato in quella occasione è la voglia di regalare musica di qualità, senza ricercare la visibilità a tutti i costi, senza l’urgenza del mettersi in evidenza, forse più tipico dei giovanissimi. Ammesso che tutto questo sia vero, quali sono le differenze che esistono tra il "vostro" muovervi nel mondo musicale attuale rispetto agli anni 70?

Alcune cose che mi vengono in mente sono: la comprensione più profonda di aspetti musicali in precedenza vissuti solo d'istinto, il consapevole rispetto per il passato e per i colleghi, la gioia di essere su un palco per una performance più vera.

Come ti accennavo ad Alba, ti vidi con gli Acqua Fragile come “spalla” dei Gentle Giant: c’era solo da imparare da loro, dai Van Der Graaf, dai Genesis, o già a quei tempi sarebbe potuto avvenire un mutuo scambio di conoscenze musicali?

Occorre spiegare che in Italia, fino alla fine degli anni '60, ai musicisti e in particolare ai gruppi, alle band, era di fatto impedito dalle case editrici/discografiche un accesso creativo alla composizione/registrazione per cui solo da "Collage" delle Orme è stato possibile iniziare un processo artistico moderno, partendo praticamente da zero. In quel frangente, la metodologia, l'approccio alla composizione, all'arrangiamento, il come realizzare una copertina, insomma tutto quanto veniva imparato da modelli anglosassoni di riferimento. Persino l'organizzazione tecnica, societaria e fiscale era da costruire ispirandosi a coloro che destavano la nostra ammirazione. Ritengo uno scambio alla pari prima degli anni '70 praticamente irrealizzabile, mentre due sere fa è stato ad esempio possibile per il sottoscritto, con i Mangala Vallis, fare un fantastico concerto con il da te citato David Jackson e la sua formidabile musicalità. 



A tutte le persone che hanno vissuto in diretta il prog mi viene da chiedere la seguente cosa, elaborata nel corso dell’ultimo anno. Credo che la musica progressiva, quella che più amo, sia di difficile parto, di complicata esecuzione e ascolto non immediato. Ciò mi porta a dire che questa tipologia di musica non poteva durare molto perché pare che si abbia bisogno di easy listening e fast sings. Che giudizio dai di questa parte di “storia musicale” e che spazi prevedi per il futuro?

Eccoti alcuni dei miei pensieri...
La Musica non è per tutti e soprattutto non per le masse.
La Musica non è solo la musica registrata ma soprattutto quella eseguita dal vivo.
Se la musica è "un arte dell'uomo per l'uomo", allora è bene che si ricordi che l'uomo è un essere, un animale complesso, e di certo una musica con peculiari difficoltà, formati non standard, interpretazioni intense, registrazioni sperimentali e altro risulta essere l'arte che accompagna l'uomo e meglio ne descrive la storia e il mondo psico-fisico. L'arte, e la musica in particolare, devono tornare ad essere una forma di ribellione intellettuale, che obblighi l'establishment a cambiare per evolversi.
Esempio: Le radio e le televisioni devono arrivare a sentire l'esigenza di cambiamenti profondi nelle forme e nei contenuti come ne andasse della loro stessa sopravvivenza. Difficile prevedere un futuro se almeno il 50% della popolazione non rinuncia totalmente alla televisione (provocando il crollo degli introiti pubblicitari) in favore di realtà più umane e intense.

Rileggendo la storia dei gruppi storici è facile trovare cambi di umore, discussioni, modifiche alle formazioni. Senza entrare in nessun tipo di polemica, che giudizio dai, in sede di bilancio, del tuo periodo passato con la PFM?

Il mio primo periodo con quel gruppo ancora vibrava per il progetto teso a "cambiare il mondo con la musica". Sperimentare e mettersi continuamente alla prova era il modo di procedere. Storicamente, a livello musicale, è possibile sia stata una forzatura per il nucleo originario dover "avere un cantante", perché la loro bravura strumentale, originale marchio di fabbrica, tuttora si accompagna a una superficialità per gli episodi vocali, atteggiamento che a volte sembra rasentare il disprezzo per le parole e il cantato.

Quando penso all’Inghilterra di fine anni '60 mi vengono in mente miriadi di artisti emersi contemporaneamente e arrivati tutti al successo, e magari ancora in auge dopo 40 anni. Perché ciò non avviene più? Crisi di talenti, di idee, star system soffocante? E’ solo un fatto di businnes?

Oggi i media hanno disintegrato il pubblico e moltiplicato i finti artisti, "bruciando la candela" a entrambe le estremità.

Pochi giorni fa ho ascoltato artisti autorevoli legittimare le canzoncine di Sanremo, evidenziando che chi le propone ha quel tipo di richiesta e soddisfa una larga parte di pubblico. Qual è la tua posizione rispetto alla musica di disimpegno?

Questa di dare al pubblico ciò che vuole è una grande BALLA. Per quanto è dato a chiunque di sapere, il pubblico vuole soldi, sesso, potere e sostanze eccitanti, e allora perché i santoni dei media non pianificano di scaricargliene addosso una valanga? Più semplice "nobilitare" la musica di di disimpegno, quella per occupare il mercato e tenere fuori gli artisti, contrabbandandola come vitale per la sopravvivenza dell'umanità.

L’altra sera ad Alba ho visto un Lanzetti istrione e trascinatore. Qual è il tuo rapporto con il pubblico in platea? Quanto è condizionante ai fini della riuscita di un concerto il feeling che si instaura con chi hai davanti?

Il rapporto con il pubblico è sempre molto articolato. Per non dilungarmi si può scherzosamente citare... sai quel Billy Shakespeare: "In ogni tragedia deve esserci un pò di commedia e viceversa...".

Ho visto per la prima volta usare il Glovox. Da dove nasce la tua passione per la sperimentazione e per la tecnologia?


Gli anni '80 hanno segnato l'inizio dei cantanti-immagine e un primo declino dei cantanti-voce. Nel deserto della discotecomania ho trovato conforto e stimolo nella ricerca dell'elettronica applicata alla vocalità. Posso dire di essere stato un pioniere nel campo, e tuttora alcuni dei miei studi e applicazioni rimangono singolari.


Ieri sera il mio bambino di 12 anni canticchiava “Morning comes” che abbiamo ascoltato il giorno prima in auto. A mio modo cerco di trasmettere ai miei figli quella che giudico buona musica. Anche tu hai a cuore la diffusione della “tua” musica verso i giovani? Cerchi di seminare campi ancora aridi?

Più che altro ho a cuore un mio approccio alla musica, e in modo particolare al canto. Nel mio repertorio, ancora eseguo brani imparati una cinquantina di anni fa. Sento di non dovermi stancare perché ogni volta che canto tendo una mano ai grandi maestri del passato e del presente, mentre l'altra mano si apre al futuro, e il mio essere si rivolge al cosmo intero.

Puoi raccontare qualcosa a proposito del tuo presente musicale e dei progetti futuri?

A brevissimo, il 3 maggio, sarò negli Stati Uniti, al Rosfest di Filadelfia, con il gruppo Mangala Vallis. Al ritorno riprenderemo a lavorare al nuovo album. L'estate spero mi vedrà in giro con le varie formazioni in cui milito o che mi arruolano come ospite speciale. Sto anche lavorando a nuove composizioni secondo un mio particolare metodo che permette di iniziare il lavoro senza strumenti musicali o registratori di sorta. Intendo anche sviluppare una forma di registrazione che prevede un posizionamento di "brandelli di sound" su cui organizzare la tessitura vera e propria della composizione. Spero di poter continuare ad allargare il campo della percezione della mia vocalità, nonché la confidenza nelle corde vocali e nel corpo tutto, per sviluppare la mia voce sorprendendo anche me stesso, come è già accaduto in questi ultimi anni.






lunedì 27 aprile 2009

Musica prog e globalizzazione


Parto dal titolo, cercando di svelarne l’apparente stranezza, in questo contesto.

Il termine “globalizzazione”, usato ormai ovunque e da chiunque, reca in sé il concetto di avvicinamento tra mondi lontani, di facilità nelle relazioni sociali, arrivando sino ad una sorta di interdipendenza.
Tutto ciò è riferito al campo economico, sociale, culturale e ideologico, con lo scopo di uniformare, superando barriere fisiche e metafisiche.
Tutti prevedono, inveiscono o gioiscono, ma nessuno è capace di dire dove realmente andremo a finire.
Assistendo al concerto di Alba, il 23 aprile scorso, mi sono fatto un’idea precisa (magari forzata dal mio stato di “addicted to music” ) di cosa voglia dire esperienza musicale globalizzante.
Nella musica, se è solo la musica l’oggetto, tutto è possibile e trovo conferme su conferme a concetti in me radicati, esprimibili con la seguente frase di sintesi:” La musica è in grado di abbattere ogni tipo di barriera”.
Non è una novità vedere artisti differenti su di un palco, e le collaborazioni, le jam più o meno estemporanee, sono sempre state elemento fondamentale delle rappresentazioni rock.
Ma non è nemmeno scontato che musicisti di valore, magari con passioni e passato comune, debbano necessariamente avere unità di intenti.
L’ultima convention dei Jethro Tull , ad Alessandria, ha evidenziato tante cose pregevoli, ma ha anche dimostrato a noi fan presenti, che la “formazione” sul palco deve tenere conto di equilibri che spesso non hanno niente a che vedere con la musica, e la gestione degli uomini, come spesso accade nella vita di tutti i giorni, diventa la vera difficoltà del momento.
Ad Alba ho visto la perfezione di intenti che sintetizzerei con lo slogan: “un unico obiettivo per tutti”.
Ecco svelata l’idea del titolo iniziale.
Il risultato è stato grandioso, sottolineando che per me la grande performance non é quella tecnicamente perfetta, ma quella che ti lascia qualche brivido alla fine del bis, quella sensazione di leggera ebbrezza con cui si convive per tutto il viaggio di ritorno.
Io questa euforia l’ho mantenuta da Alba a Savona.
Ma chi c’era sul palco?
Basta suspence.
Il cartellone prevedeva l’esibizione della Beggar’s Farm, come spesso accade con Clive Bunker, con l’aggiunta di due pilastri del prog italico, dall’illustre passato e dal luminoso presente: Rodolfo Maltese e Bernardo Lanzetti.
Prima di parlare dell’aspetto musicale vorrei raccontare la mia sorpresa al cospetto dell’organizzazione, che fa capo ad un club di fan dei Jethro Tull , la maggior parte dei quali, della città di Alba.
Avevo letto e sentito di “appassionati tullici”, in quella zona, ma mi ero fatto l’idea di una piccola entità tenuta unita dal solito collante che noi amanti dei Jethro conosciamo.
E invece ho trovato qualcosa di molto organico, e sono rimasto sorpreso nel sapere che quello che pensavo fosse un gruppetto è in realtà formato da 129 persone (io sono stato il 130esimo ad iscrivermi).
Grazie all’intraprendenza di questi “soci”, il fanclub si muove in maniera autonoma, organizzando eventi “privati”, più volte nell’arco dell’anno.
In questo caso specifico l’evento è stato identificato come “Tribute Festival”, all’interno del contesto “VINUM” e si è svolto all’Auditorium Fondazione Ferrero.
Sottolineare che l’ingresso era gratuito mette in rilievo la capillare cura dei particolari organizzativi.
Complimenti!
Un po’ di cronaca.
Arrivo un ‘ora prima del concerto e contatto Wazza Kanazza, in bilico tra la passione Jethro e quella Banco.
Mi introduce nei meandri del backstage e saluto Franco Taulino e Andrea Vercesi, i Beggar’s che conosco personalmente, e Wazza favorisce il mio contatto con Rodolfo Maltese e Bernardo Lanzetti, mentre Clive Bunker è in un angolino a ripassare i passaggi di cui sarà protagonista di li a poco.
Ecco qui un altro aspetto della globalizzazione a cui accennavo, fortemente influenzato dalle nuove tecnologie!
Mi trovo davanti personaggi di cui mi nutrivo attraverso le pagine di Ciao 2001, inarrivabili, lontani continenti da me. Ora è possibile scambiare due parole, incrociare le mail e strappare la promessa di un’intervista futura.
Persone semplici, nonostante facciano parte della storia della nostra musica, e questo la dice lunga sul lato umano.
Il teatro contiene forse 300 persone e i posti sono quasi tutti occupati.
Mi siedo molto decentrato, in galleria, in una posizione adatta alla realizzazione di qualche ripresa video, ma la visuale è ottima ovunque.
Ritorno al titolo.
L’idea che mi ero fatto, leggendo i nomi degli artisti, era quella di esibizioni separate, stratificate per genere, con qualche occasionale compartecipazione, magari alla fine.
E invece no.
Non ho visto nessun tributo ai Jethro Tull, ma ho visto un più elevato tributo alla musica prog, con la miscela tra frammenti storici italiani e andersoniani.
Nonostante Taulino a fine concerto mi abbia detto di aver avuto poco tempo per provare, tutto sembrava molto ben studiato nei minimi dettagli. Forse è normale che dei professionisti raggiungano l’intesa in poco tempo, ma a me non sembra una cosa scontata.
Il nocciolo duro on stage è rappresentato dalla Beggar’s, davvero professionali nell’oscillare tra i vari repertori, e la giovane fiatista presente in un paio di brani contribuisce con gusto alla loro realizzazione .
Lanzetti provoca i primi brividi quando inizia con : “…Can you tell me where my country lies…”
Chiudo gli occhi e ritorno indietro nel tempo!
Grande emozione per una voce che reputo tra le migliori, e non solo entro i nostri confini.
Si prosegue con altri brani Genesis (Firth of Fifth) , PFM( Traveler, Chocolate King e Impressioni di Settembre), Lanzetti (The Battle), BANCO (Non mi Rompete, R.I.P., E mi Viene da Pensare) , il tutto infarcito da canzoni dei Tull( Serenade to a Cuckoo, Bourèe, Aqualung).
Sembrerebbero “episodi” entro la norma, ma non è così.
Sentire R.I.P., per esempio, con Bernardo alla voce, Clive che aumenta il ritmo come un forsennato mentre Rodolfo lo osserva tra lo stupito e il divertito…non è cosa da tutti i concerti!
Vedere Maltese che suona la chitarra in Aqualung è fatto almeno inusuale!
E pensare a Bunker impegnato in passaggi “morbidi” in Impressioni di Settembre è un altro miracolo!
PFM, BANCO, Jethro Tull, Genesis… la “nostra “ musica più cara rimescolata e distribuita ad attori diversi, che la apprezzano, e la restituiscono carica di significati.
Questa è la globalizzazione che ottiene successo!
E in tutto questo c’e’ lo spettacolo, c’è Clive che scimmiotta se stesso, e c’è un Bernardo Lanzetti che incita il pubblico, esageratamente composto, e si dimostra un uomo da palcoscenico.
Grande novità per me l’impiego del Glovox, uno strumento che richiede l’utilizzo di un guanto collegato elettricamente ad un collare che sfrutta le vibrazioni delle corde vocali e le trasforma in suoni inusuali.



La regia è ben salda nelle mani di Franco Taulino, flautista, cantante, ma non solo.

Oltre al già citato Andrea Vercesi alla chitarra acustica, sul palco c’erano Marcello Chiaraluce alle chitarre, Kenny Valle alle tastiere, Andrea Garavelli al basso e Sergio Ponti alla batteria.
Dopo i ringraziamenti dell’organizzazione il bis di rito, e lo spettacolo si conclude con Locomotive Breath.
La magia finisce, tutti sono soddisfatti e si apre una bottiglia per brindare al successo dell’evento.
Forse è stata aperta una nuova strada, o più semplicemente è stata vinta una piccola sfida.
Ci si muove spesso con motivazioni differenti, ma in questo caso nessuno, credo, abbia da lamentarsi del risultato finale.
Tempo permettendo, mi aspetta un altro “Beggar’s+ Clive “ ad Arenzano, a due passi da casa, Teatro Italia all’aperto, dopo pochi giorni.
Saluto prima di congedarmi e racconto a Bernardo di averlo visto a Genova, nel ’73, con gli Acqua Fragile, spalla dei Gentle Giant, e lui” ..ma allora ti ricorderai che in quell’occasione ho mandato a quel paese…”
Bella serata… davvero una bella serata!


venerdì 27 marzo 2009

Acqua Fragile


Vidi gli Acqua Fragile agli inizi degli anni 70 come supporto, credo, dei Gentle Giant.
Ma è solo con l'entrata di Bernardo Lanzetti nella PFM che ho scoperto una delle migliori voci del panorama italiano e internazionale.

Qualcuno diceva , allora:"...sì, bravo, ma assomiglia così tanto a Peter Gabriel..."
Non è certamente una colpa avere una fantastica timbrica, nemmeno se riconduce ad altri artisti conosciuti.
Ho acquistato pochi giorni fa il CD omonimo, senza ascoltarlo, e ho trovato un lavoro "fresco", piacevole e originale, con chiare influenze dei grandi gruppi dell'epoca, tanto da poter individuare nei primi tre pezzi, ad esempio, Genesis, Gentle Giant e Yes.
Ben venga il ritrovamento di questi reperti e, per quello che posso, mi adopererò per fare la massima pubblicità possibile.



Gli Acqua Fragile furono un gruppo di rock progressivo italiano degli anni ‘70, originario della zona di Parma.
Il gruppo si chiamava inizialmente Gli Immortali, e comprendeva Bernardo Lanzetti (voce), Gino Campanini (chitarra) e Piero Canavera (batteria), a cui si erano aggiunti in seguito il tastierista Maurizio Mori e il bassista Franz Dondi.
Dondi proveniva da un altro gruppo minore, I Moschettieri, che nel 1967 aveva inciso un 45 giri («Il tempo dell’amore») e aveva suonato come spalla in un concerto italiano dei Rolling Stones.
"Gli Immortali" iniziarono a esibirsi dal vivo e agli inizi degli anni ‘70 furono notati dai membri della Premiata Forneria Marconi, uno dei gruppi di spicco del panorama del prog italiano.
Il manager della PFM, Franco Mamone, decise di seguire anche il gruppo di Lanzetti, che nel frattempo aveva cambiato nome in Acqua Fragile.
Mamone riuscì a far suonare il gruppo come supporter di molti grandi del momento, qualiSoft Machine, Uriah Heep e Gentle Giant.
Il primo album degli Acqua Fragile, Acqua Fragile, fu pubblicato dall’etichetta indipendente Numero Uno nel 1973. Era un lavoro chiaramente ispirato al progressive britannico (soprattutto Genesis e Gentle Giant) e cantato in inglese (fatto piuttosto anomalo per il panorama discografico italiano dell’epoca).
Acqua Fragile fu distribuito solo in Italia e non ebbe il successo sperato.
L’album successivo, Mass-Media Stars (1974), fu stampato anche per il mercato statunitense, che già aveva accolto con entusiasmo la PFM.
Alla fine dell’anno il gruppo acquisí un nuovo elemento, il tastierista Joe Vescovi, proveniente dai Trip appena scioltisi, ma poco tempo dopo fu il cantante Bernardo Lanzetti a abbandonare per entrare nella PFM (con cui avrebbe realizzato Chocolate Kings).
Lanzetti fu sostituito per qualche tempo da Roby Facini (precedentemente nei Top4 e nei Dik Dik), ma il gruppo non produsse piú nulla e si sciolse definitivamente nel 1975.
I membri del gruppo percorsero poi strade indipendenti. Lanzetti, dopo la PFM, intraprese una carriera solista di discreto successo, allontanandosi dal rock prog; recentemente ha collaborato con i Mangala Vallis (gruppo reggiano guidato da Gigi Cavalli Cocchi) nel loro album d’esordio "The Book of Dreams" (2003), per poi entrare stabilmente nel gruppo a partire da Lycanthrope (2005). Dondi e Canavera suonarono per qualche tempo nei Rocky's Filj, e poi negli Shout, una tribute band dei Beatles che ha pubblicato due CD negli anni ‘90.
Dondi ha anche fondato, di recente, l’Acqua Fragile Project, che ripropone brani del repertorio Acqua Fragile.

Formazione:


Bernardo Lanzetti: voce
Gino Campanini: chitarra.
Maurizio Mori: tastiere
Franz Dondi: basso
Piero Canavera: batteria.